

Politica dell’ascolto tra visibilità e indipendenza
Giovedì 16 ottobre h. 18
Con Fabio ‘Kenobit’ Bortolotti, Nina Terruzzi, Beatrice Finauro e Marco Monaci
VOLUMEBK, Via Farini 69, Milano
È più facile immaginare la fine della musica che la fine delle piattaforme?
Ascoltare è un atto politico: riprendiamoci il diritto di farlo.
Alla fine del secolo scorso l’arrivo di Napster rivoluzionò l’industria musicale. Con una connessione, un software e un po’ di pazienza, si poteva condividere e scaricare gratuitamente una quantità immensa di musica in un nuovo formato chiamato MP3. Le major discografiche chiamarono tutto questo “pirateria”, memori forse delle battaglie contro l’home taping (“Home taping is killing music!”), che tra gli anni ’70 e ’80 aveva rappresentato un potentissimo motore di circolazione musicale.
Da quel momento, tutto cambiò. La discografia entrò in crisi e, incapace di reinventarsi, reagì inizialmente con la repressione legale, per poi provare a inserirsi nel nascente mercato digitale. Intanto, movimenti e comunità riponevano grandi speranze nel presente e nel futuro, convinti che – grazie all’interconnessione e alla libera circolazione della cultura e della conoscenza – un altro mondo fosse possibile.
Nessuno immaginava – o forse qualcuno sì – che quelle speranze sarebbero presto diventate l’occasione per costruire business multimiliardari.
Poco più di vent’anni dopo, oggi, lo streaming musicale è onnipresente.
Spotify, Apple Music, Amazon Music, YouTube Music: li conosciamo tutti. Alcuni pagano un abbonamento mensile per avere accesso a “tutta la musica del mondo”, altri preferiscono la versione gratuita, accettando in cambio interruzioni pubblicitarie di ogni tipo.
Ma ci siamo mai chiesti qual è il vero prezzo di questa comodità?
Che impatto hanno queste piattaforme sul nostro modo di ascoltare? E prima ancora: sul modo di creare, promuovere e diffondere la musica?
Lo streaming sta trasformando radicalmente il nostro rapporto con l’ascolto. Liz Pelly, nel suo libro Mood Machine: Spotify and the Costs of the Perfect Playlist , lo racconta in maniera illuminante: gli algoritmi profilano i nostri gusti e movimenti e se da una parte ci danno la sensazione di proporci musica proprio in linea con i nostri gusti, dall’altra appiattiscono le scelte, spengono la curiosità, amplificano la noia.
Le playlist basate sul “mood” alimentano un ascolto passivo: la musica diventa sottofondo, la muzak del XXI secolo che invade ogni spazio della nostra vita.
Intanto, i musicisti arrancano. Sono costretti a esserci sulle piattaforme per esistere, ma vengono sfruttati da un sistema che riconosce compensi ridicoli e li incastra in una gabbia di numeri e algoritmi. La musica perde così la sua essenza, svuotata dal meccanismo che dovrebbe valorizzarla.
E noi, da ascoltatori, finanziamo un business che si presenta come “salvatore” della musica, ma che vive soprattutto di pubblicità e profilazione. Con i nostri abbonamenti e i nostri ascolti alimentiamo colossi che, come nel caso di Spotify, non esitano a investire miliardi anche in tecnologie militari: il fondatore Daniel Ek ha recentemente investito centinaia di milioni di dollari in Helsing, una start-up che sviluppa droni da combattimento basati su intelligenza artificiale.
Come siamo arrivati fin qui?
E soprattutto: quali strumenti abbiamo, da ascoltatori, per riprenderci il diritto di ascoltare?
Quali pratiche possiamo mettere in campo, come musicisti, curatori e appassionati, per cambiare questo flusso?
È davvero possibile un utilizzo consapevole e responsabile delle piattaforme?
Giovedì 13 ottobre dalle 18 ne parleremo di tutto questo e molto altro insieme a Fabio Kenobit Bortolotti, Nina Terruzzi, Beatrice Finauro e Marco Monaci.
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Fabio Bortolotti, in arte Kenobit, è un hacktivista e musicista. Figura centrale della musica a 8 bit in Italia e all’estero, ha suonato i suoi Game Boy in ogni angolo del mondo. Dopo un passato come giornalista su riviste ormai estinte (come Giochi per il Mio Computer, Xbox Magazine Ufficiale e Nintendo la Rivista Ufficiale) e come traduttore di videogiochi (firmando titoli come Far Cry 3, StarCraft 2 e Thimbleweed Park), ha deciso di dedicarsi alla battaglia per la libertà digitale. Quando non organizza eventi come Zona Warpa, la festa del videogioco ribelle e itinerante, scrive musica e libri come “Liberare il mio smartphone per liberare me stesso”.
Nina Terruzzi è cresciuta ascoltando la radio e tanta, tanta musica brasiliana, è stata ballerina e educatrice prima di iniziare il proprio percorso professionale legato all’organizzazione e produzione di eventi. Concepisce e sviluppa il progetto Casa da Paes, una rassegna triennale di House Concert gratuiti a Milano e dal 2018 al 2024 cura e conduce per Radio Popolare il programma Jazz Ahead.
Nel 2024 cura insieme a VOLUME la programmazione di Sempre Più Vicini per Spazio Teatro 89 a Milano e approda, non senza stupore, nella redazione di Battiti, storica trasmissione di Rai Radio 3.
A Beatrice Finauro piace molto la musica. Ha lavorato per MySpace Italia e scritto per Mucchio Selvaggio, Vogue Italia, Collectible Dry e Musicboom.it. Ha all’attivo show su NTS Radio (UK) Radio Raheem (IT), Le Mellotron (FR), Netil Radio (UK) e Nebulah Radio (FR). Cura eventi a nome This Is Our Punk Rock ed è tra i fondatori del Festival of Italian Literature in London.